Autismo, sovraccarico e trauma
Autismo, sovraccarico e trauma

Ultimamente, e per fortuna, si parla spesso di sovraccarico nelle persone autistiche.

Dall’ultimo manuale diagnostico ad oggi, la sensorialità e le fatiche di adattamento al contesto ambientale e relazionale sono entrate nei criteri di diagnosi.

Ma ancora poco ci rendiamo davvero conto di quello che accade nella mente e nel corpo di una persona autistica, sottoposta a continui stimoli, ambientali, emotivi, cognitivi e relazionali.

Cominciano a diffondersi termini come Meltdown e Shutdown, ma davvero chi si occupa dei bambini e adolescenti autistici, nelle scuole o nei contesti di “cura”, ne conosce il senso profondo?

Il nostro senso di sicurezza passa soprattutto attraverso le sensazioni corporee.

Gli stimoli provenienti dal corpo come il senso di fame o sonno, i movimenti intestinali, la sensazione di caldo/freddo, e quelli ambientali come temperatura, rumori, movimento, luce/buio sono tutti fattori che perturbano lo stato di equilibrio

Fino a quando non torniamo allo stato di tranquillità e calma, il sistema nervoso continuerà a inviare segnali di pericolo mantenendosi iper-attivato.

Se la condizione di stress è continuativa nella giornata, il cervello registra che è inserito in un ambiente pericoloso e che è necessario mantenere attivo il sistema Simpatico volto all’attività di protezione con la modalità “attacco-fuga” o congelamento.

Se, invece, ad uno stress segue il recupero della calma e del senso di sicurezza che rimane lo stato prevalente durante la giornata, il cervello apprende che si può disattivare il sistema difensivo a favore dello stato Parasimpatico in cui ci si può rilassare. Si acquista un senso di sicurezza e di fiducia sulla possibilità di essere protetti e di sopravvivere.

Nel nostro cervello l’amigdala è responsabile delle emozioni; la corteccia pre-frontale, invece, è responsabile del pensiero logico e critico. Quando ci iper-attiviamo, l’amigdala prende il sopravvento sulla parte pensante del nostro cervello e ci spinge ad agire in modi che non vorremmo.

I comportamenti «scomodi» sono espressioni sane di un bisogno non soddisfatto e spesso sono l’unico strumento per comunicare e portare fuori quelle emozioni così intense.

Lo psicologo Daniel Goleman chiamò questa reazione, che può essere spesso eccessiva, «dirottamento dell’amigdala» perché è come se l’amigdala disabilitasse i lobi frontali.

Una persona autistica sarà da sempre immersa in un ambiente che percepisce come potenzialmente pericoloso perché diverso da sé, perché iperattivante, perché iper-richiestivo, perché confuso e caotico, perché poco coerente o senza senso logico. Questa continua attivazione porterà, ad un certo punto, ad “dirottamento dell’amigdala”, i cui effetti saranno crisi da Meltdown (esplosioni simil-aggressive verso oggetti, persone o se stessi, esplosioni di pianto incontrollato, esplosioni interne con sintomi fisici simili ad attacchi di panico, urla di suoni o parole o frasi) o crisi da Shutdown (disattivazione totale).

Quando poi gli eventi che creano sovraccarico estremo sono spesso associati a luoghi o richieste specifiche, allora il cervello clusterizzerà in modo sbagliato quello stimolo e poi associerà una valenza pericolosa a tutti gli stimoli (tendenzialmente neutri) di quel tipo. Faccio un esempio: se per me la scuola è un luogo sovraccaricante (e spesso anche traumatizzante) e se a scuola mi vengono fatte richieste comportamentali e cognitive specifiche, ogni altro luogo (anche meno sovraccaricante e non traumatizzante) che mi farà richieste simili mi attiverà emozioni simili e quindi sarà potenzialmente percepito come pericoloso e iperattivante. E l’iperattivazione condurrà a comportamenti di attacco-fuga (meltdown) o freezing/congelamento (shutdown).

Questo meccanismo è lo stesso del trauma: anche gli eventi traumatici creano nella mente dei cluster di pensiero e ogni stimolo del presente che fa tornare alla mente l’evento traumatico, lo riattiverà come se fossimo di nuovo in estremo pericolo.

I Meltdown sono facilmente riconoscibili (sperando che non vengano ancora confusi con “capricci”). Gli Shutdown sono più silenziosi e più fraitesi (e spesso purtroppo anche più socialmente accettati). Ma lo Shutdown per chi lo prova è doloroso tanto quanto il Meltdown.

È lo spegnimento di mente e corpo. Il corpo è spossato, stanco, fatica a muoversi, fatica a percepire gli stimoli, sterni ed interni. I pensieri sono rallentati o si fermano. La persona fatica a parlare (se è vocale). Le parole o i suoni girano nella testa senza poterli fermare. Lo sguardo può essere fisso nel vuoto e si fatica a portare l’attenzione su qualcosa in particolare.

Il sistema nervoso può bloccarsi a tal punto da portare qualcuno ad addormentarsi sul colpo, come fosse narcolettico. Altri sperimentano paralisi dei movimenti che precede grande terrore.

Può essere confuso con stanchezza intensa o depressione, ma in realtà in quel momento c’è uno spegnimento così repentino del sistema nervoso che la persona non ha possibilità di scelta (esattamente come accade con il Meltdown).

È necessario però riconoscerlo per poter dare alla persona supporto nel recupero delle energie, per proteggerla e per aiutarla a prendersi cura dei bisogni di base.

È un meccanismo protettivo estremo: quanto pericolo allora la mente di quella persona avrà sentito per arrivare a “congelarsi” e spegnersi così? Quanta paura. Quanto dolore. E quanta strada ancora la nostra società ha da fare…

 

Dottoressa Maddalena Genco