Storia di un sintomo
Spesso si arriva in Psicoterapia dopo aver percorso strade inimmaginabili, fatte di visite, incontri, consultazioni, specialisti, guru e sciamani.
Questo è spesso il punto di arrivo di un percorso che ha inizio con un sintomo.
Già, hai letto bene, un sintomo.
Può essere un sintomo banale come un lieve fastidio alla gamba, un piccolo mal di stomaco, giramenti di testa, emicranie, spalle contratte, schiena bloccata, dolore al ginocchio…fino a espressioni più fastidiose o dolorose, come dolore ai reni, disturbi intestinali, difficoltà a deglutire o digerire o dormire… fino a depressione o attacchi di panico…
Potrei continuare a lungo. Il punto è che spesso il sintomo, dopo essere stato svalutato o ipervalutato, dopo essere stato passato al vaglio di numerosi professionisti (più o meno qualificati), resta lì, non accenna a volerci lasciare nonostante non abbia una causa fisiologicamente determinata.
Spesso ci sentiamo dire “Lei è stroppo stressat*”, “Sta benissimo, il suo corpo funziona alla perfezione, è la sua mente a giocarle brutti scherzi”.
Ma cosa succede? Perché sta accadendo?
Il sintomo, che tanto odiamo e che vorremmo andasse via, in realtà ha un grande compito: parlarci di noi.
Sì, proprio così: il sintomo non è la malattia. Il sintomo è l’espressione di un malessere, che, se non è fisico, ha cause emotive.
Il sintomo parla un linguaggio che spesso non capiamo, ma l’unico modo per capire cosa ci sta dicendo è fermarci e ascoltarlo.
Quanti antidolorifici, quanti anestetici, quanti sedativi…quanti farmaci! Facciamo di tutto per zittire l’unico modo che il nostro corpo ha trovato per salvarci, per dirci che qualcosa nella nostra vita non sta andando bene, che dobbiamo modificare la strada, che dobbiamo prenderci cura di noi.
È più semplice sedarci. Ma è davvero la via giusta?
In realtà non è compito delle medicine spegnere il sintomo: è compito di ognuno di noi analizzare ciò che il sintomo sta cercando di dirci. È compito nostro far in modo di non “avere più bisogno” del sintomo per ascoltare e osservare le nostre emozioni nascoste e rifiutate, i nostri pensieri soffocati e omologati, i nostri ricordi dolorosi.
Man mano che avremo gli strumenti per guardarci dentro con onestà, per dare valore a ciò che vediamo in noi, per scegliere la strada più giusta per il nostro benessere, il sintomo scomparirà e non farà più ritorno.
Un giorno ci guarderemo indietro pensando a quanto tempo (e a volte a quanti soldi) abbiamo sprecato alla ricerca di una soluzione “magica” per qualcosa che in realtà ci ha salvato la vita!
Bisogna avere il coraggio di guardarsi dentro, di farsi anche aiutare nel farlo, e percorrere la strada che porta alla propria Felicità, qualunque cosa questo voglia dire per ognuno di noi.
Dottoressa Maddalena Genco
Psicologa e Psicoterapeuta
Spazio Kameie